La cultura alimentare negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede. La sensibilizzazione su questo tema coinvolge milioni di persone e, quindi, si è molto più attenti.
Uno degli aspetti più importanti riguarda la shelf life. Un argomento che genera molta confusione tra i consumatori che acquistano, ogni giorno, alimenti dal supermercato.
In questa guida si prova a fugare ogni dubbio.
Alcune precisazioni sulla shelf life
Prima di conoscere come si calcola il tempo di shelf life degli alimenti, è importante fare alcune precisazioni. È che più passa il tempo e più il cibo è soggetto a trasformazioni ma è opportuno sapere che esistono due tipologie di shelf life.
Come si calcola la shelf life
A capire come calcolare la shelf life degli alimenti deve essere necessariamente l’azienda che si occupa di preparazione e confezionamento dei prodotti. Non solo per un fatto etico ma anche perché, per legge, non può essere venduto un alimento senza che sia indicata la data di scadenza, a parte quelli che sono sfusi e venduti al momento.
Il calcolo della shelf life deve essere accurato e preciso. Proprio per questo, prevede diverse fasi, in modo da stabilire, almeno, il Termine Minimo di Conservazione.
In primis, si parte dalla conoscenza del prodotto stesso: dalle materie prime ai processi con cui vengono lavorate passando per tutte le ‘aggiunte’ che vengono fatte prima di arrivare al prodotto finale. Non mancano anche prove sulla confezione (sì, incide anche questo) e su come viene conservato in tutti vari step.
Ovviamente, come si può intuire, non c’è una verifica standard valevole per tutti, anche se, comunque, è possibile fare un quadro almeno generale.
Di solito, infatti, si comincia con le analisi microbiologiche, che servono per capire la quantità di microrganismi patogeni sono presenti nell’alimento. A ciò va aggiunta la verifica dei parametri chimici e fisici – in modo da capire la percentuale e di pH presenti – per concludere, poi, con il sapore, odore e tutto ciò che riguarda l’aspetto sensoriale. Non mancano, inoltre, i cosiddetti ‘stress test’: si tratta della simulazione di condizioni ai limiti dell’accettabile a cui l’alimento viene sottoposto.
In questo modo si riesce a capire se è ‘sostenibile’ anche per i cittadini che, ovviamente, a parte i sistemi più comuni, non hanno mezzi per garantire le condizioni ottimali del prodotto.
I test devono essere effettuati da laboratori che rispettino i requisiti del Regolamento CE 2073/2005. Può sembrare strano, ma non esiste una legge che certifichi, con chiarezza, quali sono i criteri normativi per poter garantire un calcolo della shelf life di un alimento accettabile.
È possibile allungare la shelf life?
Se fatto nel rispetto della legge, sì, è possibile allungare la shelf life di un alimento. A patto che, però, ciò non comporti il deterioramento del prodotto. I metodi di allungamento della shelf life sono tre, almeno quelli più comuni.
Innanzitutto si possono usare delle fermentazioni microbiologiche in modo da rallentare l’invecchiamento del prodotto. Poi, e capita non troppo di rado, si cerca di aumentare la durata del prodotto usando degli additivi naturali o artificiali. Su questo punto è importante essere molto attenti considerando che la normativa italiana è abbastanza severa.
Infine, si può anche portare il prodotto a un principio di disidratazione, così da ‘abituarlo’ alle condizioni non perfette di conservazione.
Al di là dei metodi, però, in ogni caso bisogna ribadire che si tratta di modifiche all’alimento che, se portate all’estremo, possono portare delle conseguenze dannose per i consumatori.
Indipendentemente se si riesca o meno ad allungare la shelf life, il discorso resta sempre lo stesso: l’alimento deve mantenere le proprie qualità. Non solo per quanto riguarda il gusto e l’odore ma anche dal punto di vista salutare.
Anche, nel caso, rendendolo meno bello rispetto a delle alterazioni estetiche volte a vendere il prodotto stesso.